sabato 18 maggio 2013

AMBIENTE - FIUME PESCARA

Nella falda acquifera trovata un'alta concentrazione di sostanze tossiche e diossina. Per la prima volta in Italia i reati ambientali diventano di competenza della Corte d'Assise, che dovrà giudicare diciannove persone per disastro ambientale e avvelenamento delle acque destinate al consumo umano.

Nel 2007, il Corpo forestale dello Stato, che condusse tutte le indagini che hanno portato all'attuale rinvio a giudizio, denunciò l'esistenza della discarica dei veleni, fino ad allora ignorata.
 
Inquinamento della falda acquifera superficiale e profonda con sostanze tossiche e cancerogene che superano i limiti di legge di centinaia di migliaia di volte, diossina nei terreni e contaminanti che continuano a fuoriuscire dall'area. Questa la bomba ecologica attorno al fiume Pescara. A lanciare il nuovo allarme sul sito di Bussi dove nel 2007 il Corpo forestale dello Stato scoprì la megadiscarica di rifiuti tossici, è il WWF Abruzzo, che diffonde i dati dei monitoraggi ambientali e parla di un quadro di contaminazione delle acque e dei terreni molto grave. Nell'ambito dell'inchiesta sulla discarica di Bussi, considerata la più grande d'Italia, se non d'Europa, lo scorso 18 aprile il Gup del Tribunale di Pescara ha rinviato a giudizio 19 ex amministratori della società che gestiva il sito, all'epoca dei fatti, i quali dovranno rispondere di reati quali disastro ambientale e avvelenamento delle acque destinate al consumo umano. Il processo prenderà il via il 25 settembre p.v. davanti alla Corte d'Assise di Chieti. 

Le indagini della Forestale
Nella primavera del 2007, il personale del Comando Provinciale di Pescara del Corpo forestale dello Stato, guidato dell'allora Comandante Dr.Guido Conti, scopriva, sepolta nella verdeggiante Valle del fiume Pescara, la discarica abusiva di rifiuti tossici più grande d'Europa, una superficie grande come venti campi di calcio, per un totale di 500 mila tonnellate di rifiuti. Ha inizio così il processo che vede imputati diciannove persone tra ex vertici della società che gestiva il sito, direttori e vicedirettori che hanno gestito il polo chimico in quegli anni, accusati di disastro doloso e avvelenamento delle acque. Otto, invece i dirigenti delle società gestori dell'Acqua in Abruzzo (Ato e Aca), accusati a vario titolo di commercio di sostanze contraffatte e di turbata libertà degli incanti. L'acqua contaminata potrebbe essere uscita dai rubinetti di centinaia e centinaia di case. La discarica si trova, infatti, in un collo di imbuto e raccoglie le acque di un terzo della regione, punto di confluenza delle acque che provengono dal Gran Sasso della Maiella, gli acquiferi più importanti d'Abruzzo. Ed è proprio lì, in questo punto di raccolta, che si trova la discarica che rilascia veleni.
La discarica venne scoperta dalla Forestale dopo più di un anno di indagini, avviate a seguito del ritrovamento nel fiume Pescara di considerevoli quantità di clorometanoderivati. Tali elementi chimici erano stati individuati nel corso di una precedente operazione denominata "Blue River", sul controllo delle acque di scarico industriali e civili nei fiumi della Provincia, portata a termine diversi anni prima dal personale del Comando Provinciale di Pescara del Corpo forestale dello Stato. Il blitz aveva condotto a numerose sanzioni (2.200.000 euro) e cinque denunce a carico dei responsabili dell'avvelenamento delle acque. Sotto la regia della Procura della Repubblica, gli agenti della Forestale avevano condotto le indagini e cercato le cause del ritrovamento delle sostanze tossiche, di derivazione industriale, nelle acque del fiume abruzzese.
La campagna di controlli ed analisi unita a sequestri, perquisizioni, acquisizione di documenti, secondo quanto disposto dal Gup, aveva portato al riscontro di sufficienti elementi di reato per sequestrare l'area e denunciarne i presunti responsabili dell'inquinamento. Il personale del Corpo forestale dello Stato sequestrava così il sito vicino al polo industriale chimico di Bussi sul Tirino (PE). L'analisi delle foto aeree degli ultimi cinquant'anni e i sorvoli con gli elicotteri del Corpo forestale hanno fatto il resto. L'area che era veniva sottoposta a sequestro giudiziario e subito venivano organizzati ed avviati i sondaggi e i carotaggi con tecnici di una ditta altamente specializzata, con il personale della Forestale e con alcuni geologi e chimici locali. Già le prime ricerche condotte dalla Forestale avevano messo in luce che per molti decenni la zona sarebbe stata la tomba di un numero imprecisato di sostanze tossiche contenute in rifiuti e scarti industriali. Una pratica reiterata nel tempo, visto che, molte delle sostanze originariamente palabili, cioè a metà fra stato liquido e solido, furono ritrovate cristallizzate. Le sostanze interrate, mischiate ai terreni che sono stati inquinati da questi materiali, per effetto delle piogge, avrebbero ceduto lentamente gli inquinanti al fiume per arrivare al mare. L'odore dei solventi interrati nel momento in cui le ruspe hanno cominciato a scavare per avere la prova definitiva, era nauseabondo. I danni prodotti all'ambiente erano e sono incalcolabili, considerando che le sostanze tossiche hanno prodotto un inquinamento serio del terreno e delle falde acquifere circostanti.

I dati dell'inquinamento 
Per decenni la discarica di Bussi sarebbe stata destinata a smaltire illegalmente oltre centomila tonnellate di scarti di lavorazione chimiche ed industriali quali: il cloroformio, il tetracloruro di carbonio, l'esacloroetano, il tricloroetilene, triclorobenzeni, metalli pesanti, tanto da essere stata definita una delle piú grandi discariche nascoste di sostanze tossiche e pericolose mai trovate. Un disastro ambientale di  enorme entità.  L'esacloroetano è stato il vero filo d'arianna, in quanto ha consentito di collegare in maniera inequivocabile la discarica di Bussi e l'acqua di rete. Su 43 parametri presi in considerazione, per 35 sono stati riscontrati superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione per la falda  superficiale e 23 per la falda profonda. La stragrande maggioranza dei piezometri della rete di monitoraggio all'interno dell'area  industriale evidenzia superamenti dei limiti. Alcune sostanze mostrano superamenti di enorme entitá: il cloroformio 453.333 volte i limiti nella falda superficiale e 46.607  volte nella falda profonda; il tricloroetilene 193.333 volte nella  falda superficiale e 156 nella profonda. Il mercurio 2.100 volte nella falda superficiale; il diclorometano 1.073.333 volte in falda superficiale e 3.267 volte nella falda profonda, il tetracloruro di carbonio 666.667 volte nella falda superficiale e 3733 volte nella  falda profonda. I monitoraggi ambientali sono quelli realizzati dalla  societá Environ per conto dell'attuale proprietaria del sito  industriale, la Solvay Spa, che nel frattempo si è costituita parte civile nel processo penale in corso.

Il danno ambientale
L' Ispra, per conto dell'Avvocatura dello Stato, ha stimato un  danno ambientale di 8,5 miliardi di euro e una contaminazione di circa 2 milioni di metri cubi di terreni, oltre a quella relativa all'acqua di  falda. A fronte di un quadro così preoccupante però, sono stati avviati dalla Solvay, due sistemi di messa in sicurezza d'emergenza sia sulla falda superficiale che per quella profonda nonché alcuni interventi di bonifica su piccole aree. I dati dei  monitoraggi realizzati dal privato, validati dall'ARTA (Agenzia  Regionale per la Tutela dell'Ambiente), costituiscono il riferimento per tutte le azioni di bonifica del sito  e, sono, quindi, pubblici.  I dati,  si riferiscono esclusivamente all'attuale area di proprietá Solvay e ad alcuni pozzi/piezometri posti a valle dell'area  industriale, più esattamente nella Valle del Pescara alla confluenza tra il fiume  Tirino e il Pescara. Da questi dati emerge che il sistema di  trattamento è in grado di ridurre drasticamente il livello della  contaminazione, ma che tra il 2007 e il 2012, nove parametri sono risultati comunque oltre la concentrazione soglia di  contaminazione per la falda superficiale e tre per la falda profonda. Alcune sostanze, inoltre, continuano a fuoriuscire dal sito nonostante il trattamento. La situazione peggiora verso valle nei  pozzi-piezometri. Nel biennio 2011-2012 per la  falda superficiale undici parametri sono risultati essere oltre i limiti  di legge, mentre per la falda profonda sono stati dodici i parametri non  conformi. Tra questi, sostanze estremamente tossiche e/o cancerogene come il benzene (33 volte i limiti nella falda superficiale) il  monocloroetilene (132 volte nella falda superficiale e 112 volte nella profonda), l'esacloroetano (16 volte nella falda superficiale e 152  volte nella falda profonda). Nel 2011 la Environ per conto della Solvay ha ricercato, nei  campioni di suolo all'interno del sito industriale, diossine e furani. Su 29 campioni ben 9 sono risultati avere valori superiori ai limiti  di legge per le aree industriali. Il campione piú contaminato  presentava un valore di 23,7 volte superiore al limite di legge per le aree  industriali.

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